> Per rendere il mondo un posto migliore bisogna iniziare dalla propria casa. In inglese si usano due parole distinte per il concetto di casa: house e home. La prima indica un luogo fisico, un edificio o costruzione da abitare, mentre la seconda si riferisce ad un ambiente familiare, più affettivo ed emozionale che fisico, un luogo interiore, di pace, calore, vita e sicurezza. Una casa può essere vuota anche se abitata, soprattutto quando è la presenza di una determinata persona a “farci sentire a casa”; al sicuro, protetti, avvolti, coccolati, innocenti e puri.
Dopo la pelle, è la casa la prima esperienza di confine che sperimentiamo da bambini, attraverso cui stabiliamo un dentro e un fuori. La casa è il luogo, prima di tutto interiore, in cui iniziamo a definirci. Normalmente l’idea di casa viene associata allo spazio vitale in cui poter mangiare, riposare e prendersi cura di sè e dei propri cari. Un luogo dove esprimere se stessi, da soli o imparando a convivere nelle relazioni intime. Un luogo dove vivere intimamente amore e odio, avventura, libertà, protezione e riconoscimento. Prima di essere un ambiente fisico la casa è dunque l’universo in cui costruiamo il nucleo della nostra individualità. Uno spazio ancestrale che custodisce i valori della nostra intimità. Le società arcaiche attribuivano all’abitazione un valore sacro, nel quale coltivare la relazione con i quattro elementi (terra, aria, acqua e fuoco) e con le stelle. Il posizionamento della casa celebrava un preciso rapporto con a volta celeste, per ricordare all’uomo l’intima interconnessione tra cielo e terra. Il focolare domestico esprimeva prima di tutto il senso del sacro e della protezione. Gli antichi avevano sviluppato una visione “cosmica” della casa, dove celebrare la relazione con l’universo e onorare le divinità domestiche, custodi di ogni famiglia: gli spiriti ancestrali degli antenati (i Lari dei Romani, per esempio).
(da “la via della leggerezza”, Daniel Lumera e Franco Berrino)